Mese: Marzo
Anno: 2010 Articolo: 2
“Lettere a un giovane poeta”
“Arte come necessità 2″
La prima epistola – parte seconda
“Necessità come arte”
“Morireste se vi fosse vietato di scrivere?” Ebbene si, cari amici; ci siamo lasciati la scorsa volta conservando ancora incompleto il nostro itinerario su questa prima epistola che, come dicemmo, riserva a noi tutti continue sorprese. Dunque torniamo a chiederci, questa volta più da poeti e lettori (anche solo figurati) e meno da uomini comuni: moriremmo se non potessimo scrivere?
Rilke prosegue ancora il suo tragitto poetologico scendendo crudamente nel dettaglio e definendo cosa sia veramente l’opera artistica valente. È un giudizio di valore il suo, che presuppone innanzitutto il rifiuto di tautologie: tutto è estremamente concreto.
“Un’opera d’arte è buona se nasce da necessità. È questa natura della sua
origine a giudicarla: altro non v’è. E dunque, egregio signore, non avevo
da darvi altro consiglio che questo: guardatevi dentro di voi, esplorate le
profondità da cui scaturisce la vostra vita; a quella fonte troverete risposta alla domanda se voi dobbiate creare.”
È un Rilke pienamente addentro il ventesimo secolo, che anticipa tematiche care alla lirica ermetica (e si pensi, in connessione, ad una pietra miliare della prima metà del secolo appena trascorso quale è appunto “Letteratura come vita” di Carlo Bo).
Questa risposta cercata, attesa, è la risposta che noi ardentemente desideriamo; la risposta che può farci bene ma può persino distruggere la nostra identità di artisti, costringerci a rinunciare per sempre al nostro sogno.
Ma come identifichiamo un sogno che contiene al contempo un preciso indirizzo di vita?
Ossia… se il sogno in questione dipende da quella domanda che abbiamo posto al principio di questo commento alla prima lettera dell’epistolario come a quello della volta scorsa, e se abbiamo compreso che una risposta negativa ad essa comporterebbe la chiusura di un portone (in modo presumibilmente irreversibile), è utile effettuare questa ricerca, combattere questo dubbio?
“Accettatela come suona, senza stare a interpretarla. Si vedrà forse che siete chiamato a essere artista. Allora prendete su di voi la sorte, e sopportatela, portatene il peso e la grandezza, senza mai
ambire al premio che può venire dall’esterno. Poiché chi crea deve essere
un mondo per sé e in sé trovare tutto, e nella natura sua compagna.
Forse, però, anche dopo questa discesa nel vostro intimo e nella vostra
solitudine, dovrete rinunciare a diventare un poeta (basta, come dicevo,
sentire che senza scrivere si potrebbe vivere, perché non sia concesso).
Ma anche allora, l’introversione che vi chiedo non sarà stata vana. La vostra vita in ogni caso troverà, da quel momento, proprie vie; e che possano essere buone, ricche e ampie, questo io ve lo auguro più di quanto sappia dire.”
Immaginiamo di possedere un evidenziatore e poter sottolineare qualche parola di questo lunghissimo estratto… voi cosa segnalereste? È una domanda che difficilmente può ricevere risposta diretta, ma nasce innanzitutto dall’esigenza, dal bisogno di formulare il quesito suddetto.
Io, dovendo cristallizzare questa dimensione e focalizzare la mia attenzione, ho fatto delle scelte e, quale giovane che legge con semplicità questo testo – e non un testo qualunque – , ho enucleato i seguenti vocaboli: interpretarla, sorte, peso, un mondo per sé e in sé , l’introversione.
È una lettura, come detto personale, che predilige solo alcuni aspetti (ed era inevitabile) sacrificandone altri: la risposta che è frutto di questa introversione non va interpreta, comporterà una decisione della sorte a sua volta correlata con un nostro peso, che è il fardello di essere artisti, di essere in grado di creare e di essere un mondo per sé e in sé.
“Vi ringrazio ancora per la grandezza e la cordialità della vostra fiducia, di cui con questa risposta sincera, e data in buona fede, ho cercato di rendermi un po’ più degno di quanto io, un estraneo, non sia.”
Un estraneo, esatto. Rainer Maria Rilke è per noi proprio un estraneo, deciso a consegnarci un pezzo importante della sua interiorità scandagliando, in modo efficace, la nostra.
Cosa dunque, tirando i remi in barca, inevitabilmente spunta all’occhio è questa precisione nella descrizione delle procedure per giungere alla risposta in causa, che è la risposta di ogni giorno: devo fare?
Non tutti siamo mossi dall’arte nella nostra vita, questo è un dato ineliminabile. Ma saperla parte integrante di essa comporta la missione (rieccoci!) e dunque i suoi costi più propriamente umani: umani in quanto simbolo autentico di umanità.
Di ciò parleremo ancora.
Mario De Rosa